La tecnica di produzione dell’ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA è molto articolata e si sviluppa in archi temporali molto lunghi. Minimo 12 anni, minimo 25 anni di invecchiamento implicano che il prodotto si tramandi di generazione in generazione.
L’ingrediente del balsamico tradizionale, il mosto di uva cotto è certamente un elemento centrale e caratterizzante il prodotto.
Il mosto di uva cotto è anche l’elemento centrale e caratterizzante di tutta la nostra produzione. E’ l’ingrediente unico di tutti i nostri prodotti: Aceto balsamico tradizionale di Modena, Saba, Balsamosaba® e SONO Just for Friends.
Qui in breve le fasi produttive del balsamico tradizionale
Per la produzione dell'Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (ABTM) si utilizzano solo le uve tipiche del territorio modenese, come previste dal disciplinare di produzione. In vigneto coltiviamo in regime biologico i vitigni: Lambrusco Grasparossa, Trebbiano modenese e Pignoletto. Le uve vengono raccolte al massimo della maturazione per avere la più alta percentuale zuccherina e pigiate in modo soffice.
Subito dopo la pigiatura, prima che cominci la fermentazione, il mosto viene cotto in recipienti a fuoco diretto e a vaso aperto. Questa lenta cottura, per almeno 24-36 ore , permette la concentrazione degli zuccheri che saranno alla base della trasformazioni microbiche che subisce il prodotto. Il grande cortile si riempie del dolce profumo del mosto cotto ...
L'invecchiamento avviene in batterie, serie di barili di volume scalare e di varie essenze di legni. La batteria è situata in un sottotetto, dove avviene il processo di maturazione ed invecchiamento. Ogni anno si effettuano i travasi da un barile all'altro e i rincalzi con il mosto cotto nella botte più grande della serie. Il prodotto finito viene prelevato, dopo almeno 12 anni di invecchiamento, dalla botte più piccola, dopo almeno 25 anni per il prodotto EXTRA VECCHIO
Il Tradizionale arriva sulla tavola dopo non meno di 12 anni e non meno di 25 anni di invecchiamento per l'extra vecchio. Lo si riconosce dalla bottiglia, disegnata da G. Giugiaro da 100 ml, unica di legge per tutti i produttori. Come lo si usa? Dalla frutta al gelato, dalla carne al pesce come profumo appena prima di servire, sempre a crudo, in gocce per esaltare i piatti sui quali si utilizza... Seguiteci nella nostre pagine di ricette!!!!
L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (ABTM) è un prodotto che richiede l’utilizzo di uve speciali tipiche del territorio modenese; come previste dal disciplinare di produzione Tra queste, Lambrusco, Trebbiano modenese, Sauvignon, Berzemino, Sgavetta, Occhio di gatta e Pignoletto.
La raccolta avviene quando le uve hanno raggiunto la massima maturazione, per garantire il massimo contenuto zuccherino.
Autunno, una stagione piena di fascino.
Vittorio, Giovanna, Michele e Mariangela si adoperano con zelo nella raccolta e nella pigiatura dell’uva. Si ottiene il mosto di uva crudo e, prima che inizi a fermentare, lo si cuoce in recipienti a fuoco diretto e a vaso aperto.
Al termine della cottura, il mosto risulta di un color bruno intenso, profumato e dalla golosa consistenza zuccherina.
Quando si avvia una produzione, il mosto cotto, una volta raffreddato e decantato, viene posto all’interno di una serie di botti di diversi legni e di dimensioni decrescenti.
La serie, chiamata “batteria”, è collocata nei sottotetti delle abitazioni dove risente delle variazioni di temperatura stagionali: il gelo invernale regala limpidezza al balsamico e il torrido caldo estivo concentra zuccheri, acidità e sapori.
La temperatura mite in autunno e primavera consente le attività microbiologiche di fermentazione acetica. Ogni inverno in acetaia si ripetono rituali le operazioni di travaso e rincalzo secondo una metodologia simile al metodo solera. Queste operazioni, anno dopo anno, determinano la maturazione e l’invecchiamento del balsamico tradizionale.
E’ uno dei prodotti più antichi della zona di Modena e sicuramente unico al mondo. Le sue origini si perdono nella notte dei tempi, alcuni studiosi riconducono la sua nascita al costume degli antichi Romani di cuocere il succo dell’uva per farne una specie di melassa dolce, chiamata saba, ed utilizzata per addolcire i cibi. Una sorta di miele di uva.
In determinate condizioni, la saba poteva iniziare un processo di fermentazione naturale e successiva acetificazione… conservata, travasata, rincalzata questa saba fermentata si è trasformata nei secoli ed ha dato vita al nostro tradizionale.
Richiami all’impiego di aceti agrodolci si susseguono nella letteratura antica.
Le cronache del 1046 ricordano, ad esempio, come Enrico III, scendendo in Italia per farsi incoronare imperatore, chiese al vassallo Bonifacio, marchese di Canossa, di recargli in dono una botticella del prezioso aceto che si usava fare nelle “contrade modenesi”. Non possiamo dire con certezza se questo aceto fosse già il Balsamico che noi consumiamo sulle nostre tavole, ma probabilmente si trattava di un suo antenato.
Con lo scorrere del tempo la spirale bibliografica tende a spostarsi tra Ferrara e Reggio Emilia facendo infine centro nella città di Modena (Benedetti, 1976). In essa, nel 1598, si trasferì da Ferrara la Corte Ducale Estense, ed è da tale ambiente che emergono le prime documentazioni in cui si fa precisa e dettagliata citazione dell’aceto balsamico.
Nel 1796 i francesi di Napoleone, occupata Modena, smantellarono le acetaie ducali vendendone i barili alle famiglie più facoltose della città. Questa imponderata divisione portò, con acceso senso di prestigio, il diffondersi dell’aceto balsamico in diverse abitazioni modenesi.
Dopo il 1815 si riuscì in parte a ricostruire l’acetaia ducale. Gli anni successivi furono prolifici di documentazioni riguardanti il Balsamico; figura di spicco in tale periodo fu il Duca Francesco IV, che di questo aceto fu attento estimatore.
Lo stesso sovrano Vittorio Emanuele II, accolto a Modena il 4 maggio 1859, rimase rapito del “gioiello nero” trovato nei sottotetti del Palazzo Ducale. L’attrazione fu tale da spingere il Re ad ordinare il trasferimento dei barili migliori in Piemonte nel regio castello di Moncallieri. Di quelle botti non si ebbe più notizia.
Nell’anno successivo, come unica coincidenza, l’esperto enologo Ottavio Ottavi chiese informazioni, all’ombra della Ghirlandina, presso Francesco Aggazzotti sul come condurre una abetaia (lasciando intuire che il nuovo ambiente stava inducendo lo spegnimento di quell’aceto così radicato in Modena). Prendendo spunto da un manoscritto di un anonimo del ‘700, l’Aggazzotti rispose con una lettera che diventò, in pratica, la base metodologica per produrre l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (Aggazzotti, 1860; Aggazzotti, 1862).
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